Enoframmenti di Collisioni … i vini naturali … i “Vini Veri”
COLLISIONI 2014 – HARVEST, il festival agri-rock di letteratura, musica, cibo e naturalmente (soprattutto per me!) vino si è tenuto dal 18 al 21 luglio 2014 a Barolo, piccola e deliziosa cittadina, mecca del vino italiano e parte integrante di un paesaggio Patrimonio dell’Umanità, titolo degnamente conferito dall’Unesco proprio pochi mesi fa.
La manifestazione è stata anche una grande vetrina sui vini naturali, biologici, sostenibili. I sostantivi per descriverli si sprecano, sia nel settore che in rete soprattutto per la curiosità, l’interesse, i pareri che si scatenano quando si parla di loro.
Lo stesso interesse che provo io e che mi spinge a partecipare a diversi eventi che li trattano, arricchendo la mia conoscenza e alimentando la mia predilezione per tale genere.
Ciò che mi ha più colpito questa volta è stata la vivacità e il grande livello del dibattito (polemiche comprese!) che si è sviluppato tra nomi importanti nell’ambiente.
Giovanni Bietti, autore del libro “I vini naturali d’Italia”, Andrea Gori di Intravino, Michele Longo scrittore, curatore della guida i migliori Vini d’Italia e coautore del libro di prossima uscita Barolo&Barbaresco, Giampiero Bea, Presidente del consorzio VINIVERI, hanno animato un ricco confronto moderato proprio da Ian D’Agata, ideatore e curatore del progetto di vino di Collisioni 2014.
Presenti solo alcuni dei 19 produttori, con altrettanti vini in degustazione, forse un po’ tantini per apprezzarli tutti e decisamente troppi per degustarli in meno di un ora e mezza, direi che ho trovato nel dibattito una maggiore fonte di soddisfazione.
Vibrante e con momenti anche di tensione tra i relatori, all’unisono si è comunque trovato un accordo sulla carenza di comunicazione di questi “nuovi vini” o “vini vecchi di un tempo”.
Si sosteneva, infatti, che per anni siamo stati legati a tecnicismi e a terminologie forse superate, mentre oggi il vino si ritiene debba essere quotidiano, e come già letto su un nuovo manifesto della degustazione, dotato di cinque fondamentali caratteristiche.
Semplicità, un vino deve arrivare al gusto. Infatti come ci fa capire lo stesso Bea, che vuole vedere un vino “bevendolo”, sentendo le emozioni del vino che entrano in bocca e non semplicemente guardando il suo colore o individuandone i suoi profumi.
La sua franchezza, cioè il rispetto del territorio, l’integrità del terroir di origine. Bea tra il sarcastico e il polemico ha posto a tutti una domanda semplice e non banale, che forse in molti si son fatti in questi ultimi anni: “Cosa rimane del terroir di origine se in fase di vinificazione togliamo la buccia, i vinaccioli, eliminiamo i lieviti naturali?”. La risposta non è per nulla scontata.
La bevibilità, il vino va consumato. Bietti ha rimarcato il concetto della digeribilità che interessa molto i produttori di questi vini. Non possiamo, sostiene Bietti, dimenticare che il vino è stato ed è prima di tutto un alimento, ed è a questo concetto che bisogna tornare. Vino come un cibo che più che degustare si deve bere, non potendo prescindere dalla sua salubrità. Il vino non deve “fare male”, l’idea che trattando bene il prodotto alimentare, che manipolandolo il meno possibile si possa star meglio, è l’aspetto principe da mettere al centro di qualsiasi discussione.
Pulizia, il vino non deve avere difetti. Come sottolinea Michele Longo, il “naturale” non deve essere un paravento per nascondere difetti e maneggi. Il vino deve essere buono, elegante e ben fatto, piacevole, pulito e rispecchiare l’anima del produttore che ne trasferisce il proprio lavoro, la propria evoluzione e le proprie caratteristiche.
Infine la sensibilità, come ci dice sempre Luca Gardini (ndr non presente al dibattito), bisogna avere rispetto del palato di tutti, ognuno con una peculiare e personalissima sensibilità e personalmente credo che questi “vini veri” rispettano proprio questo, poiché non omologati me soprattutto unici ed in ciascuno si individuano i tratti del suo vignaiolo.
Presto probabilmente anche l’industria sarà pronta a fare dei vini come gli orange wine, ma sono certo non potranno mai imitare i piccoli produttori, che imprimono il proprio DNA su ciascuna etichetta.
Quando e se accadrà, sarei proprio curioso di sapere cosa direbbe (e farebbe) Josko (ndr Gravner) che nel 1996, in ritorno da un viaggio in California, decise di avvicinarsi a queste nuove (anzi vecchie!) tecniche di vinificazione dopo aver amaramente scoperto che i suoi vini avevano lo stesso gusto di quelli prodotti a migliaia di kilometri di distanza dalla sua Oslavia!
Nonostante l’importante numero, la degustazione dei 19 vini è stata degnamente apprezzata!
Quasi un giro d’Italia, dal Nord Est con prosecco agli orange wine (bianchi macerati sulle bucce) del Carso e del Collio, passando dalle coste e su per le colline della Toscana, con un salto rapido in Sardegna, tornando sulle coste marchigiane, risalendo al Nord, in Piemonte, con un Barbera e Barbaresco, chiudendo in Umbria con un Sagrantino proprio di Bea, e dulcis in fundo un bel passito di Cerutti.
Diversi i territori rappresentati, ognuno con la propria filosofia, dai biologici ai biodinamici a quelli semplicemente naturali. Tutti accomunati da un unica mission: mettere nel bicchiere solo uva, indipendentemente da qualsiasi certificazione ottenuta. Nessuna chimica di sintesi in vigna per arrivare al palato pura, senza dominarne e coprirne la natura, utilizzando tutto, o come si dice “non buttando via niente”, dalla buccia al vinacciolo e non addizionando.
Ecco la lista completa
- Casa Coste Piane Prosecco DOCG Valdobbiadene 2013
- Skerlj Vitovska 2011
- Skerk Vitovska 2011
- Zidarich Vitovska 2011
- Vodopivec Vitovska 2005
- Dario Princic Bianco Jakot 2011
- Ronso Severo Ribolla 2011
- Valter Mlečnik Ana Cuvée 2007
- Castellada Vrh 2006
- Podere Luisa Castelperso 2011
- Carla Simonetti Carminia Arvalia 2011
- Massavecchia La Querciola 2010
- Pane Vino Cannonau 2013 (vino ancora senza etichetta “Succhinonnau” Quello che non vivo in sardo)
- Ezio Trinchero Terra del Noce 2008
- Valter Mattoni Arshura 2012
- Serafino Rivella Barbaresco 2009
- Oasi degli Angeli Kupra 2012
- Paolo Bea Sagrantino di Montefalco Pagliaro 2005
- Ezio Cerutti Sol Passito 2008
Assolutamente tutti eccellenti, anche se ho la mia personalissima top five!
Tra quelli del Carso citerei la VITOVSKA 2005 DI VODOPIVEC, affinata in anfore georgiane interrate, dopo una lunghissima macerazione, mentre tra i vini del Collio ho apprezzato il Friulano Jakot 2011 di Dario Princic, affinato due anni in botte.
Come rossi toscani, ho trovato amabile il maremmano La Querciola 2010, 80% Sangiovese, 20% Alicante, 2 anni in botte e solo 3200 bottiglie prodotte.
Con grande e piacevole stupore ho individuato i marchigiani Arshura 2012, un montepulciano in purezza, e naturalmente il Kupra 2012, più di una spanna sopra tutti gli altri, una Grenache ultracentenaria, che nel piceno la chiamano semplicemente “Bordo’”, la cui storia iniziò in zona grazie ai pastori sardi che dall’Alta Tuscia scendevano in piceno proprio per vinificare.
Ciò che porto a casa da questa esperienza è una nuova consapevolezza. Quella di un percorso che tutti dobbiamo fare, da chi produce a chi beve, specie chi vive di e in questo mondo, affinché si comunichi in maniera più efficace un nuovo modo di intendere il vino, sponsorizzandone il ritorno alle sue vere e orgogliose origini!
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