Golosaria 2015, nutrire il pianeta senza sprechi!
Articolo pubblicato a novembre 2015 su LorenzoVinci.ilgiornale.it (https://bit.ly/2AjV5Db)
Dieci anni di gran gusto quelli trascorsi dalla prima edizione di Golosaria, la grande rassegna enogastronomica creata da Paolo Massobrio e Marco Gatti. Per questa decima edizione, tenutasi dal 17 al 19 ottobre, la manifestazione si è trasferita in Fiera Milano City al MICO – centro Milano Congressi, uno spazio molto grande (forse troppo!) per ospitare gli oltre 300 espositori e per organizzare i coking show, i wine tasting, i diversi laboratori o gli appuntamenti della Grill Accademy.
Numerosi i wine e foodlover, giornalisti italiani e stranieri, famigliole e semplicemente “curiosi” che hanno calpestato gli oltre 12.000 metri quadrati della struttura, a discapito forse di alcuni produttori vinicoli un po’ “sacrificati” per la scelta della location.
L’appuntamento, oltre a presentare lo stato di salute del meglio del food e wine targato Italia, ha offerto l’occasione per fare il punto sui nuovi trend e creare network tra gli operatori del settore.
Nell’anno del “Nutrire il pianeta” di Expo, qui il leitmotiv della manifestazione è stato piuttosto la lotta allo spreco.
Tra le eccellenze presentate, grande attenzione verso quello che da molti è definito il “pane liquido”, la birra!
Ed è proprio da questo prodotto che inizio la mia personale ‘golosaria’!
Nel 2006, di pari passo con la prima edizione di Golosaria, nasce il micro birrificio 32 Via dei Birrai, dall’idea di tre amici con esperienze professionali diverse e una passione in comune: un nuovo modo di fare e comunicare la birra!
Anche grazie a loro che il linguaggio nel mondo della birra sta cambiando. Produzione annua di 3000 ettolitri, otto birre in catalogo, e presenti all’evento, tutte ad alta fermentazione, non pastorizzate, non filtrate e rifermentate in bottiglia. I loro nomi sono alquanto singolari.
Come la Curmi (da Kourmi, birra dell’antico egitto), birra bianca speziata ottenuta con farro e malto d’orzo, l’Audace (nome ispirato ad un profumo) una belgian strong ale, doppio malto, speziata e poco amara, e la TRE+DUE, birra leggera con spezie, molto luppolata, che considero il loro marchio di fabbrica, poiché in questo nome sembra essere racchiusa la loro storia, l’eccellenza dei loro prodotti e la loro creatività.
Nata nel 2011 per festeggiare i 5 anni di attività del birrificio (TRE+DUE = 5 e 32 è il nome del birrificio!), questa birra è stata creata con una nuova ricetta: un volume alcolico in percentuale pari a 3,2 e solo 32 unità di amaro.
Questa birra vuole rappresentare un po’ il “core style” aziendale: birra facile di pronta beva, fresca, di corpo, con una piacevole nota amara, un giusto connubio tra la Curmi, l’Audace e L’Oppale.
Se poi la sera siete in compagnia dei vostri amici, oltre a bervi una fresca 32, potete approfittarne per giocare con Damatta, il classico gioco da tavolo tra più antichi e diffusi nel mondo che trasforma i tappi in pedine e il coperchio della cassa in cartone riciclato in tabellone, o divertirsi con la Spirale degli 8 colori, che riprende l’antico gioco popolare dell’oca, ma vestito proprio con gli otto colori aziendali.
Tra i vini, due prodotti un po’ fuori dagli schemi sono stati quelli presentati da Dogliotti 1870, la storica azienda piemontese, nata appunto nel 1870 a Castiglione Tinella con i fratelli Giuseppe e Marcello Dogliotti. Quando nel 1929 subentrò Luigi, figlio di Giuseppe, questi trasferì la cantina a Castagnole delle Lanze, dove tuttora l’azienda risiede ed è condotta dai tre cugini: Erik, Ivan e Matteo. Il Moscato d’Asti è stato sempre il loro fiore all’occhiello, forse per questo proprio Erik, enologo, ne ha voluta fare una sua personalissima interpretazione, il Moscato d’Asti selezione di Erik 2011. Raccolta anticipata delle uve in cassette da frutta, segue una breve macerazione a freddo, pressatura soffice, e fermentazione alcolica del mosto, di cui una parte in acciaio, ed una parte in botti di rovere ma in questo caso grazie ad una fermentazione spontanea. Affinamento sulle proprie fecce fini, assemblaggio solo prima dell’imbottigliamento e un successivo riposo in bottiglia per 18 mesi. Questo vino è prodotto solo in annate particolari, una piccolissima produzione di circa 3000 bottiglie, ovviamente si differenzia molto da un moscato vinificato tradizionalmente, più marcati i sentori erbacei e soprattutto piacevolissime note d’idrocarburo dal ricordo renano.
I tre cugini vorrebbero anche contribuire al rilancio del Vermouth, quindi han creato un prodotto, appunto il Vermouth 18/70, rivisitandolo in chiave più moderna. Ad un 80% di moscato d’Asti vengono aggiunte 51 spezie, la sua dolcezza è data dal residuo zueccherino del moscato e non da zuccheri aggiunti, e non vengono utilizzati coloranti, ma il suo colore giallo, intenso, brillante è tutto naturale.
Restando in Piemonte, facciamo un salto sui Colli Tortonesi, per incontrare il Timorasso, antico vitigno autoctono in via di estinzione, che solo poco più di vent’anni fa è stato riscoperto, recuperato e valorizzato, divenendo in questo modo uno dei grandi vini bianchi del Belpaese con un grande potenziale d’invecchiamento. E lo facciamo con Paolo Carlo Ghislandi di Cascina I Carpini e i suoi vini d’arte, anche in questo caso, un po’ fuori dagli schemi, partendo proprio dal più particolare ed interessante, il Timorasso Anfora 2012, uve che fermentano spontaneamente, macerazione sulle bucce, affinamento anfora e nessuna stabilizzazione ne filtrazione ne chiarifica, un vino praticamente Vegan!
Con la Rugiada del Mattino 2012, un cru su terra argilloso-calcarea, da uve leggermente surmaturate sulle piante, fruttato e sapido, e la Brezza d’Estate 2010, che affina tre anni in acciaio e due anni in botte, che cresce su terreni “bianchi” (gesso calcarei) e che ama la mineralità, abbiamo scoperto quanto può essere longevo questo Timorasso.
Con molto piacere ho chiacchierato con Marianna Cardone, dell’omonima azienda vitivinicola Cardone, poiché era ancora viva nei miei pensieri la stupenda serata e l’eccezionale ospitalità che aveva riservato a tutti gli appassionati nella sua splendida tenuta di Locorotondo (Ba), in occasione della prima edizione di SummerWine – Vino, cibo e tradizioni in Valle d’Itria, organizzato da lei insieme alle sue amiche della Delegazione Puglia dell’Associazione Nazionale Le Donne del Vino.
Non solo parole con Marianna, ma anche e soprattutto i suoi vini!
In primis il Prosit, un Pinot nero rosé frizzante della Valle d’Itria, vinificato in bianco e rifermentato con metodo charmat, fresco, intenso, molto floreale ma sorretto da una buona struttura. O lo Chardonnay barricato del Salento, Amado mio 2013, affinato in legni francesi di media tostatura per sei mesi, sentori di frutta e vaniglia, dal gusto morbido e molto equilibrato.
La filosofia aziendale è quella di produrre vini, sia da vitigni autoctoni che internazionali, ma che rappresentano la qualità di un territorio. Nei loro vigneti, infatti, trovano spazio il Cabernet, sia Franc che Sauvignon, il Merlot e il Malbec, che danno vita a Vigna del Fragno 2013, il loro “bordolese”, che affina in piccoli legni, elegante al naso con piacevoli note fruttate e speziate, al palato la nota vegetale e erbacea è ancora pronunciata ma che ben si bilancia con un tannino fine e dolce. Il tutto termina davanti ad un primitivo, quello che qui definiscono quello vero, dalle Colline della Murgia, l’Archita Gioia del Colle DOP Primitivo 2013, basse rese, solo acciaio e affinamento per almeno due anni in bottiglia. Un vestito di pura seta!
Un po’ di trekking è necessario per arrivare ad ammirare, a 1.000 metri di altitudine, l’ettaro di uno Syrah di montagna che cresce nel cuore delle Madonie, a Gangi, della Tenuta San Giaime di Alessio Cicco. Una storia tra favola e tradizione, che parte dal medioevo, quando i pellegrini che provenivano dal Medio Oriente e diretti a Santiago di Compostela in Spagna, transitando per San Giaime donarono ai locali, per riconoscenza verso l’ospitalità, alcune viti di Syrah proveniente dalla Persia, ed arriva fino a Gaetano Cicco, nonno di Alessio, che lo trasmette alla sua famiglia.
S’14, questo il suo nome, è stato prodotto solo in 3750 bottiglie, una parte da vecchie vigne esposte a sud, e caratterizzate da una fortissima escursione termica (quasi 20 gradi tra il giorno e la notte), nessuna chiarifica o filtrazione e nemmeno additivi chimici. Effettua malolattica in cemento per affinare poi 9 mesi in barrique di rovere di secondo passaggio e riposare almeno altri tre mesi in bottiglia prima della commercializzazione.
Al naso trasmette una nota dolce ma molto fresca, come quella che si può ritrovare in un’anguria, frutta secca, mandorla. Al palato ritroviamo questa freschezza quasi dissetante con un tannino elegante ma ancora leggermente acerbo. Un vino che può star lì ad aspettare un po’ il suo prossimo bevitore.
Chiudo con la presentazione del “Gatti-Massobrio”, il nuovo Taccuino nazionale che segnala le 2060 migliori soste italiane, tra queste mi piace ricordare un grande amico del vino, Andrea Pesce, che con il suo locale, “Vino e Più”, una posteria, caffetteria, winebar, sala da tè, rivendita di birre e altro ancora, è stato premiato ilGolosario2016 nella categoria Locali polifunzionali. La passione di Andrea per il mondo del vino è ormai più che nota a tutti, essendo tra l’altro, ideatore e organizzatore, insieme ai suoi due amici, Andrea Sala, Luca Dell’Orto, della manifestazione “Io bevo Così” che crede fortemente che un vino etico possa ma soprattutto debba esistere.
Grande lavoro, forte motivazione e ottimi risultati, il made in Italy eccelle e contribuisce a nutrire il Pianeta, senza spreco di risorse!
[Photo Credit: Antonio Cimmino]32 Via Dei Birrai, Dogliotti, Donne del Vino, Golosaria, Paolo Massobrio