Il ritorno degli Alloctoni? Chi può dirlo
L’associazione Go Wine, dopo numerosi eventi rivolti ai vitigni autoctoni, per la prima volta ha voluto dedicare una serata alle varietà internazionali.
Realtà quest’ultime che in Italia si sono integrate, adattate, amalgamate ai diversi terroir, ed in alcuni casi han tirato fuori il meglio dal territorio di origine, dei caratteri dei produttori, rientrando negli usi e costumi dei suoi popoli.
Ripercorrendo un po’ la loro storia, si può dire che negli ultimi anni questi vitigni sono stati un po’ “dimenticati” dalle cronache enologiche, per non dire anche ghettizzati, eccezion fatta se si trattava dei vini spumanti metodo classico e/o qualche Supertuscan, poiché si tendeva di più ad esaltarne il vitigno autoctono.
Molti di essi, però, in diversi territori hanno trovato piena cittadinanza, utilizzati sia in blend e assemblati che soprattutto vinificati in purezza!!!!
Al banco d’assaggio si è potuto spaziare sia in termini geografici che di varietà. Quindi mentre si degustava l’eccezionale Merlot piemontese in purezza di Ettore Germano, il Balàu 2011, il passaggio al lombardo leggermente appassito di Ricchi, il Carpino 2011, era un attimo per poi approdare in Toscana con il Merlot 2009 maremmano dei Podere Riparbella o il pisano “I Renai” Merlot 2009 di San Gervasio.
E il Pinot Nero? Da segnalare il sudtirolese Saltner 2012 dei Produttori di Caldaro, il Monferrato Rosso San Germano 2010 e quello maremmano prodotto da Podere Riparbella, Pinot Nero 2009.
Gli altri internazionali da segnalare sono lo spettacolare (a mio parere!) Syrah di Tenimenti Luigi D’Alessandro con Cortona Borgo Syrah 2012 e i due Cabernet Franc, il Capsico 2007 di Zaccagnini e i Vigneti delle Dolomiti 2007. Quest’ultimo, ancora in mente (o meglio, in bocca) per il suadente finale dolce arricchito di una nota di cioccolato, della trentina Letrari, che con quest’etichetta dimostra di sapere produrre rossi eccezionali e non solo bollicine di montagna superlative.
Il ricordo più piacevole della serata, la degustazione di una batteria di sei vini nati e cresciuti nell’Agro Pontino. Sì! proprio i vini di quel Lazio che in quasi tutte le guide fanno fatica ad emergere, ma che in questa manifestazione grazie all’Azienda Agricola Casale del Giglio hanno colto tutti di sorpresa.
Una realtà nata alla fine degli anni 60, ad Aprilia (LT) in località Le Ferriere, che da circa 30 anni, grazie ad un progetto innovativo di ricerca e sperimentazione sui vitigni internazionali trapiantati nell’Agro Pontino, si è messa in luce trainando un po’ anche altri viticultori della zona.
Son stati circa una sessantina i diversi vitigni sperimentali impiantati, con risultati vari, tutti comunque utili a selezionare sul campo quelli che più si adattavano al territorio.
In questo contesto è intrigante immaginare di accostare l’Agro Pontino ad una piccola Bordeaux, o a qualche cittadina californiana, o australiana, considerando i modelli di coltivazione viticola ai quali si è ispirato questo progetto.
Durante l’evento probabilmente sono stati presentati i loro migliori risultati: Viognier, Petit Manseng per i vitigni a bacca bianca, Syrah, Petit Verdot e Tempranillo per i rossi, che hanno dato vita a diverse etichette, sia in purezza sia in assemblaggio, tutti accomunati da un rapporto qualità prezzo che va oltre ogni rosea aspettativa.
Un terroir con una doppia anima, terreni sciolti da un lato che guarda il mare, le pendici dei Monti Lepini, dei Castelli Romani e il promontorio del Circeo a chiudere dall’altro.
Ed eccole qua, le sei chicche degustate!
Viognier in purezza 2013, vitigno del sud della Francia e un’interessante vinificazione, con metà delle uve leggermente surmature, macerate a freddo. Circa 6 mesi sui propri lieviti. Molto floreale, una grande dolcezza al palato che si equilibra grazie ad una bella freschezza ed evidente sapidità.
Petit Manseng 2013, sempre in purezza da uve, anche qui, molto mature. Vitigno francese proveniente dai Pirenei atlantici. Un leggero appassimento in pianta che non pregiudica la freschezza di questo vino.
Antinoo 2012, un blend di Viognier e Chardonnay, fermentazione (alcolica e malolattica) sia in tonneau che per una piccolissima parte in barrique. Rispetto agli altri risulta molto più elegante e complesso, al palato è sapido e molto persistente.
Passando ai rossi lo Shiraz 2012, ovviamente Syrah in purezza, affinamento in barrique dagli 8 ai 12 mesi e prima di lasciare la cantina riposa almeno altri 6 mesi in bottiglia. Un naso intenso, dolce, molto setoso al palato, un tannino presente ma non invadente con un finale speziato.
Quindi, i miei due preferiti, Il Petit Verdot 2012, raramente si incontra in purezza vista la sua difficoltà nella maturazione, ma che nell’Agro Pontino probabilmente ha trovato il microclima giusto. Parte della fermentazione malolattica viene effettuate in legno. Anche il Petit Verdot, come lo Syrah, affina in barrique dagli 8 ai 12 mesi più altri 6 mesi in bottiglia. Molto equilibrato tra morbidezza ed eleganza del tannino.
E per ultimo lo spagnolo Tempranijo 2012, Tempranillo 100%, fermentazione lunga e lenta, con la particolarità che dopo la fermentazione si procede di nuovo ad una macerazione per altri 15 giorni allo scopo di estrarre molti più tannini, che in ogni caso sono dolci. Ovviamente sul colore impatta questa doppia macerazione risultando molto intenso, al naso sono evidenti i sentori di frutti di bosco, lampone, ribes ma anche un po’ di dolcezza di confettura, in bocca si sente la grande struttura e la dolcezza dei tannini. Un vino che in piccolo mi ricorda un po’ il Numanthia prodotto proprio nella patria del Tempranillo, la zona della Ribera del Duero.
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